IL MULINO PARRINI di Sant’Agata
Il mulino si trova nella zona sud di San’Agata, subito a valle della confluenza del piccolo torrente Romiccioli con il Cornocchio, torrente questo più ricco di acqua in ogni stagione, per cui al mulino era assicurata la possibilità di macinare sia in inverno che in estate.
Il mulino ha origini molto antiche, probabilmente medievali, ma la documentazione fino ad ora nota risale al secolo XVI. Alla fine del Seicento, nei documenti dei Capitani di Parte Guelfa si trova la seguente indicazione: “ Un mulino in S. Agata posto in detto popolo possiede il Sig. Canonico Fam. Filippo Salviati con due palmenti e gualchiera posto nel acqua del Cornocchio”.
I Marchesi Salviati, nobile famiglia fiorentina imparentata coi Medici, proprietari a Sant’Agata del grande palazzo al centro del paese e di una vasta fattoria, hanno conservato la proprietà del mulino fino al 1832 quando passa per eredità ai Baroni Ricasoli.
La famiglia Parrini, che da secoli gestisce il mulino, ha tramandato il ricordo delle visite “segrete” di Bettino Ricasoli durante la “rivoluzione toscana” dell’aprile 1859 di cui fu protagonista. Nei giorni di agitazioni politiche e popolari che precedettero e seguirono l’allontanamento del Granduca Leopoldo II, il Barone Bettino talvolta si allontanava da Firenze – in incognito per motivi di sicurezza – e si ritirava a Sant’Agata proprio presso il Mulino Parrini di sua proprietà.
Nel 1872 il Mulino fu acquistato dai Signori Romei (insieme al Palazzo di Sant’Agata e alla fattoria già dei Salviati) e fu venduto –forse tra fine Ottocento e primi del Novecento – a un ramo della famiglia Bellandi, fino a che nel 1957, alla morte dell’allora proprietario don Luigi Bellandi, priore di Celle in comune di Dicomano, passò come lascito alla Famiglia Parrini che lo detiene tuttora.
Ma è bene precisare che la famiglia Parrini ha condotto il mulino, insieme a una annessa fornace di laterizi e a un piccolo podere, almeno dal Settecento, come è documentato da carte conservate presso il mulino.
Il mulino Parrini ha funzionato a pieno regime fino a quando è sopravvissuta la mezzadria e c’erano famiglie contadine che facevano il pane in casa e che nutrivano il bestiame con farina di cereali.
Con lo spopolamento delle campagne e l’urbanizzazione degli anni ’60 incominciò il declino, che portò alla chiusura e all’abbandono di tutti i mulini della zona.
Il nostro mulino è rimasto ancora attivo grazie all’ostinazione dell’ultimo mugnaio, Santi detto Tonio, (deceduto a 95 anni nel 2003) che ha continuato a lavorarci fino all’ultimo, soprattutto per un uso familiare e per pochi nostalgici della farina macinata a pietra.
Il mulino rimane però ancora funzionante, anche se viene azionato saltuariamente allo scopo di mantenere bagnate le pale del ritrecine che altrimenti si rovinerebbero.
Il mulino è visitabile su richiesta, telefonando a Giuseppe Parrini (055.8406648).
I palmenti e le gualchiere
Nel documento citato sopra relativo al mulino si parla di palmenti e gualchiera. Particolarmente interessante la presenza di una gualchiera. Vediamo di che si tratta.
Il palmento
I palmenti sono le macine presenti in ogni mulino, che potevano variare da una a tre, ma solo raramente ne avevano di più, almeno nelle nostre zone, perché in tal caso occorreva una notevole riserva di acqua che da noi in genere i nostri torrentelli non potevano assicurare.
Schema del funzionamento del mulino ad acqua
Le gualchiere invece sono macchine per follare cioè per battere con un maglio di legno le stoffe appena tessute per ammorbidirle e renderle quindi meglio lavorabili. Ma cosa ci faceva una simile macchina presso il mulino?
E’interessante la presenza di questa gualchiera perché testimonia un’attività durata secoli in tutto il Mugello e da tempo completamente scomparsa nell’oblio.
Le gualchiere venivano costruite presso i mulini proprio per sfruttare l’energia idraulica generatasi dalla caduta del getto d’acqua sul ritrecine. Il moto di rotazione, oltre che alla macina, veniva così trasmesso all’ albero a camme della gualchiera, il quale azionava a sua volta un martellone di legno (follone) che colpiva le pezze della stoffa grezza.
Poiché l’operazione della follatura era commissionata dalle botteghe artigiane che producevano la stoffa con i grandi telai, la diffusione delle gualchiere in Mugello soprattutto a partire dai secoli XVI e XVII è indice di una certa attività manifatturiera tessile diffusa nelle campagne, ma è probabilmente legata anche a commissioni cittadine, abbondanti soprattutto nel comune di Barberino a causa dei più stretti rapporti con Prato.
Gualchiera a ruote verticali adatta ai grandi fiumi
Nel Mugello le gualchiere erano tutte con ritrecine e con ruota orizzontale.
Le gualchiere erano presenti in Mugello in moltissimi mulini a partire dal medioevo, ma, come si è detto, si svilupparono soprattutto a partire dal Cinquecento e fino a tutto il Settecento, a causa dei crescenti investimenti nelle campagne da parte dei ceti urbani ricchi, sia nobili che alto borghesi, alla ricerca di prodotti sempre più richiesti dal mercato cittadino e quindi più remunerativi.
La crescita del numero dei mulini e delle gualchiere in Mugello è parallela e intrecciata alla riorganizzazione della grande proprietà terriera nel nuovo sistema delle Fattorie che investì la Toscana e e il Mugello a partire appunto dal XVI° secolo.
Dai primi dell’Ottocento, il progressivo avvento di altre fonti energetiche come il vapore e l’elettricità ha soppiantato rapidamente le antiche gualchiere idrauliche presso i mulini.
Di queste ora non si conserva nessuna traccia materiale, ma è interessante sapere dai documenti che per alcuni secoli hanno rappresentato una fonte di sostentamento economico anche in Mugello e insieme ai mulini hanno costituito anche aspetto caratteristico del paesaggio rurale.